Dal geniale sistema musicale di Pitagora all’ingegnoso temperamento equabile

In questo articolo, desidero esplorare l’interessante tema del temperamento equabile in un modo progressivo, partendo cioè dal sistema pitagorico, mostrandone le limitazioni e giungendo, quindi, alla spiegazione di cosa sia questo metodo di accordatura e del perchè si è resa necessaria la sua introduzione.

Innanzi tutto, è utile chiarire cosa significhi la parola “temperamento”. In un certo senso, la si potrebbe utilizzare come sinonimo di “accordatura” (e, talvolta, capiterà di farlo), ma, per la precisione, il temperamento è quel processo di aggiustamento delle singole frequenze dopo un’accordatura globale. Potremmo definirlo come “accordatura fine”, ma, nella pratica, esso si rendeva necessario proprio perchè il sistema pitagorico, come vedremo, introduceva degli errori e, alcune note, andavano leggermente modificate per evitare clamorose stonature.

Bach intento a comporre il suo "Clavicembalo ben temperato", un tributo al temperamento equabile

Primo passo: la scoperta dell’ottava, ovvero della ciclicità delle note

Intorno al 500 a.C., Pitagora, insieme ai suoi discepoli, iniziò a fare esperimenti utilizzando un monocordo, ovvero una corda tesa montata sopra una cassa di risonanza con un’estremità fissa e l’altra mobile. In figura è mostrato un esempio di monocordo, dove il ponte C è mobile e permette di accorciare la corda.

Struttura generica di un monocordo, lo strumento che permise a Pitagora di investigare sulla natura dei suoni e, in ultima analisi, portò i ricercatori rinascimentali alla decisione di adottare il temperamento equabile.
Struttura generale di un monocordo. Il filo è teso tramite un peso che esercita una tensione W. L’estremo B è tenuto fisso, mentre C è mobile e permette di accorciare la corda pur mantenendo fissa la tensione.

La prima scoperta di Pitagora fu la relazione di proporzionalità inversa tra lunghezza del filo e frequenza di risonanza. Anche se egli non aveva ancora gli strumenti che sarebbero derivati dalle scoperte di Newton, Pitagora capì che, se la tensione restava costante, un filo più corto oscillava più rapidamente di uno più lungo. Entro certi limiti, è possibile osservare il fenomeno anche a occhio nudo, pertanto, non ci dovrebbe sorprendere che un uomo di tale acume arrivò a questa conclusione. Noi oggi sappiamo che la relazione esatta (riferendoci al monocordo mostrato in precedenza) è:

Il termine sotto radice quadrata è pari al rapporto tra la tensione W e una constante λ che dipende dalla natura fisica della corda. Tuttavia, Pitagora si occupò esclusivamente di rapporti tra lunghezze e tra frequenze, pertanto se chiamiamo L1 la prima lunghezza (e.g., la corda intera) e L2 la seconda lunghezza, il rapporto tra le relative frequenze dipenderà solo dalle lunghezze:

Fatta questa premessa, possiamo supporre ciò che Pitagora fece per condurre i suoi esperimenti. Egli prese due monocordi identici e fissò la lunghezza del primo. Come già spiegato, nè la lunghezza, nè tantomeno la frequenza assoluta hanno alcuna importanza, in quanto egli lavorò esclusivamente con rapporti. Pertanto, iniziò a ridurre la lunghezza del secondo monocordo e a suonare le due note contemporaneamente.

L’amore per i numeri interi

A questo punto, è bene fare una premessa. Pitagora e la scuola filosofica avevano una fortissima predilezione per gli elementi numerici che mostravano perfezione. In altre parole, consideravano come “privilegiati” i numeri interi e razionali (i.e., frazioni di interi), mentre, nonostante ne avessero perfetta conoscenza, non amavano affatto i numeri irrazionali (e.g., √2) poichè, avendo infinite cifre decimali e non potendo essere espressi come rapporti tra interi, apparivano come “accidenti necessari” (il suo celeberrimo teorema ne sforna uno dopo l’altro, la sezione aurea è irrazionale, π fa la sua parte, etc.), ma, se possibile, da evitare.

I pitagorici e la numerologia

Inoltre, i pitagorici erano legati a una numerologia dal carattere esoterico e amavano in modo particolare alcuni numeri a cui attribuivano un significato simbolico. Ad esempio, la Tetraktys poteva essere riassunta nell’identità 1 + 2 + 3 + 4 = 10, in cui i primi quattro numeri sommati riportavano a un’origine (10 ⇒ 1 + 0 = 1) di livello spirituale superiore. Il numero 4 stesso simboleggiava la Terra, con i suoi elementi aria, acqua, terra e fuoco, tutti rappresentati graficamente con triangoli (i.e, con il numero 3).

D’altro canto, il numero 3 era simbolo della triplice natura umana: fisica, psichica e spirituale. Pertanto, il numero 7 rappresentava il perfetto compimento dell’unione dell’umano e del cosmo. Potremmo continuare questa disanima a lungo, ma credo che sia sufficiente quanto detto per capire che Pitagora analizzò primariamente i rapporti interi tra lunghezze e si guardò bene da prendere in considerazione lunghezze arbitrarie.

L’ottava: la consonanza perfetta per antonomasia

D’altro canto, è assai probabile che, all’inizio, egli valutò l’effetto sonoro delle due note, facendo scivolare il ponte mobile del secondo monocordo, sino ad accorgersi che quando raggiungeva la metà della lunghezza (i.e., creando un rapporto 1:2 o 2:1), i due suoni presentavano una fortissima affinità. Il termine corretto per descrivere questa condizione è quello di consonanza e, nel caso, del rapporto in questione, tale consonanza non soltanto era perfetta (ovvero, la più gradevole che si potesse ascoltare facendo scivolare il ponticello mobile), ma presentava un carattere aggiuntivo.

Pitagora, ovviamente, si limitò alla constatazione (un risultato già straordinariamente importante), ma noi ormai sappiamo che l’uomo, da un punto di vista neurofisiologico, tende a riconoscere due suoni in rapporto 1:2 come aventi la stessa natura, nonostante il primo sia più grave del secondo. Questo fenomeno è più oggetto di studio delle scienze cognitive e delle neuroscienze che della musica stessa.

Purtuttavia, non si può non prendere atto che se viene dato un nome al suono alla frequenza base, il medisimo nome (seppur con una distinzione di altezza) deve essere dato al suono con frequenza doppia. In poche parole, Pitagora scoprì quella che noi oggi chiamiamo “ottava” e, allo stesso tempo, si rese conto che i suoni avevano una natura ciclica.

Data, infatti l’arbitrarietà della frequenza di base f, lo stesso suono veniva trovato per ogni valore doppio 2f. Partendo da 2f, il fenomeno avveniva alla frequenza di 4f e così via, secondo una legge esponenziale del tipo 2nf. Chiarito questo punto, è bene porsi un’altra ovvia domanda: perchè questo intervallo si chiama proprio “ottava”?

Pitagora inventa la scala diatonica

Per ragioni che ormai dovrebbero essere ovvie, Pitagora e i pitagorici guardavano alla musica più da un lato speculativo che pratico. Essi, in altre parole, erano interessati a studiare e definire la cosidetta “Armonia delle Sfere” piuttosto che creare un sistema per la composizione musicale (che, anzi, consideravano una pratica perfino deprecabile).

Nel fare esperimenti con il monocordo, il filosofo si era accorto che un’altra consonanza molto gradevole all’orecchio, che corrispondeva a una divisione di 3/2 (ricordo, per evitare confusioni che la frequenza della nota base è uguale a 1, mentre la consonanza di ottava corrispondeva a 2, quindi tutti gli intervalli che andremo a considerare hanno un rapporto a/b ∈ [1, 2]). In realtà, Pitagora, che, come già spiegato, usava solo rapporti di numeri interi, trovò altri intervalli gradevoli, ad esempio, con il rapporto 5/4.

Prima di andare avanti, è bene ricordare una piccola regola pratica: la “somma” di due intervalli, si ottiene attraverso la moltiplicazione dei rapporti. D’altronde, se chiamiamo “quinta” (i.e., il suo nome definitivo) l’invervallo di 3/2 e vogliamo calcolare la quinta della quinta, dobbiamo prima dividere la corda in 3 parti e prenderne 2, poi dividere la sezione lunga 2 parti in 3 e prenderne di nuovo di 2. Di conseguenza, la quinta della quinta, sarà data dal rapporto (3/2) × (3/2) = 9/4.

Quindi Pitagora aveva a disposizione la nota fondamentale (i.e., corda intera), l’ottava (i.e., corda dimezzata) e almeno un paio di intervalli consonanti intermedi. Ovviamente, una suddivisione basata su queste poche note sarebbe stata insoddisfacente e, soprattutto, numerologicamente inaccettabile. Considerando i corpi celesti allora conosciuti, egli decise di dividere l’intervallo (1, 2) in 7 parti, per cui, la ripetizione della prima nota era appunto l’ottava (adesso possiamo affermarlo con piena consapevolezza).

In questa sede, non mi dilungherò nella spiegazione del procedimento che seguì (disponibile nel testo di riferimento indicato alla fine dell’articolo), ma basti sapere che utilizzò il rapporto di 3/2 e tutti i rapporti derivabili da esso tramite elevazioni a potenza (i.e., moltiplicazioni ripetute). Dopo qualche semplice manipolazione matematica, ottenne un risultato che ancora oggi è conosciuto come scala diatonica e coincide (almeno formalmente) con la nostra scala maggiore.

Partendo dalla nota fondamentale, egli trovò una sequenza di rapporti tra suoni successivi molto regolare:

Struttura intervallare della scala diatonica. Da un punto di vista struttrale, essa è rimasta valida anche per il temperamento equabile

In poche parole, la prima nota aveva una frequnza f, la seconda (9/8)f, e così via. Essendo 9/8 = 1.125 e 256/243 = 1.0535, Pitagorà chiamò il primo rapporto “tono” e il secondo “semitono”. Tuttavia, considerando quanto detto poco fa, questa nomenclatura potrebbe essere fuorviante, perchè il semitono non coincide con la metà del tono, ovvero:

Il tono è leggermente più grande di due semitoni

Il tono è leggermemente più grande di due semitoni, ma questo è un dettaglio non estremamente importante. Resta di fatto che lo scarto tra la prima e la seconda nota è maggiore rispetto a quello tra la terza e la quarta.

Un veloce salto in avanti sino a circa l’anno 1000

Un dettaglio utile che non è stato ancora definito (e che non venne mai definito da Pitagora) riguarda il nome delle note. Essendo utile per i nostri scopi poterle citare, è bene ricordare che il primo a dare nomi ben definiti alle sette note fu Guido d’Arezzo, il quale ebbe anche il merito dell’invenzione di una notazione musicale che, con qualche variazione, è giunta sino a noi. Egli si basò su alcuni versi molto conosciuti in ambito ecclesiatico, prendendo le iniziali di ogni parola e ottenendo la sequenza:

Ut – Re – Mi – Sol – La – Si

A parte la prima nota, questo è il moderno sistema di solfeggio in uso anche nel mondo anglosassone (dove le note sono definite da lettere dell’alfabeto). Guido, fu talmente bravo nella didattica, da pensare anche a un metodo pratico per la memorizzazione e il canto delle note basato sulle falangi della mano.

Mano guidoniana, per la memorizzazione e la "consultazione" rapida delle note e dei loro rapporti.
Rappresentazione dell’epoca della mano “guidoniana”, per la memorizzazione e la “consultazione” rapida delle note e dei loro rapporti.

La moderna scala diatonica

A questo punto, abbiamo tutti gli elementi per costruire la scala diatonica “moderna” partendo dal Do. Ovviamente, questa è una scelta di comodo; se, infatti introduciamo i segni di diesis (#) e bemolle (♭), dicendo che il primo alza una nota di un semitono, mentre il seconda la abbassa dello stesso valore, possiamo costruire la scala diatonica di ogni nota fondamentale. Per i nostri scopi, tuttavia, è molto più semplice lavorare con le note non alterate:

Do – Re – Mi – Fa – Sol – La – Si – (Do)

Tutti gli intervalli sono di un tono, tranne quelli tra Mi – Fa e Si – Do, che sono di un semitono. Ovviamente, anche se Pitagora non definì esplicitamente i nomi delle note, i nostri ragionamenti restano assolutamente validi, ma chiaramente risultano più comodi. Facciamo adesso qualche veloce calcolo per vedere i rapporti degli intervalli più importanti.

Seconda pitagorica

L’intervallo Do – Re (seconda maggiore) è composto da un tono e non necessità di molto lavoro. Esso è pari a 9/8.

Terza pitagorica

L’intervallo Do – Mi è composto da due toni e otteniamo:

Rapporto relativo all'intervallo di terza pitagorica

In questo caso, coloro che possiedono qualche rudimento di teoria musicale possono notare una “stranezza”. Nonostante il rapporto sia tra numeri interi, è molto improbabile che Pitagora abbia diviso la corda in 81 parti, facendone vibrare solo 64. In effetti, questa è una prima conseguenza della sua scelta di basare la scala sul rapporto 3/2. Egli si era accorto, ad esempio, che anche il rapporto 5/4 era abbastanza gradevole, ma, all fine, aveva optato per il primo.

E’ sufficiente avere una calcolatrice alla mano, per vedere che 5/4 = 1.25 e che, in effetti, la terza pitagorica è leggermente più alta di tale intervallo. Solo parecchi secoli più tardi, il musicista Gioseffo Zarlino, diede vita alla cosidetta “scala naturale”, in cui tale intervallo è incluso. Visto che questo articolo è finalizzato alla spiegazione del temperamento equabile, non parlerò esplicitamente di questa scala, ma coloro che lo desiderano possono fare riferimento al testo citato alla fine.

Quarta pitagorica

L’intervallo Do – Fa ha un’ampiezza di due toni e un semitono:

In questo caso, il rapporto è tra numeri interi abbastanza piccoli (4/3) e non è un caso. Ma per spiegarne la ragione, dobbiamo prima verificare che la quinta corrisponda realmente al valore prescelto di 3/2.

Quinta pitagorica

L’intervallo “privilegiato” Do – Sol che Pitagora scelse per fondare la scala diatonica si può facilmente calcolare:

Abbiamo perciò la conferma (ed. come era ovvio) che gli intervalli di tono e semitono risultanti permettono di definire una quinta pitagorica esattamente uguale a 3/2. Se adesso osserviamo la successione tono-semitono mostrata in precedenza, notiamo che, partendo dalla quinta nota, si ha la sequenza, tono-tono-semitono, ovvero una quarta pitagorica. Ma, in termini di note, ciò equivale a dire che l’intervallo Sol – Do è una quarta.

Questo non è un fatto strano e rientra nella teoria dei cosidetti “rivolti degli intervalli”, che possono essere studiati in qualsiasi testo di armonia. In particolare, usando la terminologia moderna, possiamo definire una regola molto semplice: il rivolto di un intervallo “posizionale” A (ovvero basato sulle note ordinate nella scala) si ottiene come 9 – A. Quindi, l’ottava, ad esempio, avrà come rivolto la “prima”, ovvero l’unisono, la terza avrà la sesta, etc.

Ciò che cambia nei rivolti è tuttavia l’ampiezza degli intervalli risultanti (e.g., maggiore-minore, eccedente-diminuito). Tale argomento è abbastanza semplice, ma esula dal nostro contesto, per cui rimando i lettori interessati a un buon testo di armonia dove queste informazioni vengono chiaramente spiegate.

Tuttavia, nel caso particolare, del rapporto di 3/2, siamo in presenza di quella che viene chiamata “quinta giusta” e il rivolto di un intervallo “giusto” è anch’esso “giusto”, pertanto possiamo essere certi che l’intervallo Do – Fa è ampio esattamente come l’intervallo Sol – Do e viceversa. Per questa ragione, quando Pitagora scelse il valore 3/2, implicitamente introdusse anche il relativo rivolto 4/3.

Pitagora si mette nei guai

A questo punto, è ormai chiaro che, indipendentemente dai nomi delle note, esiste una ciclicità basata sulla successione delle frequenze fondamentali (f, 2f, 4f, …, 2nf,…) e questo vale ovviamente per ogni nota della scala. Ogni cosa potrebbe apparire sistemata al posto giusto, inquadrata in un sistema matematico che non può vacillare. Eppure, Pitagora, senza forse esprimerlo apertamente, sapeva bene che esisteva un problema e sapeva anche la ragione andava ricercata proprio nella sua “smania” di avere solo numeri interi o razionali.

I conti non tornano

Senza ulteriori indugi, consideriamo di partire da un Do ad un’ottava qualunque, che indicheremo con (1) e procedere per quinte. Ciò che si ottiene è:

Do(1) → Sol(1) → Re(2) → La(2) → Mi(3) → Si(3) → Fa(4) → Do(5)

Bello, vero? Se la frequenza base è f, passando di quinta in quinta, arriviamo al Do con frequenza 24f = 16f. Ma noi sappiamo anche che Sol(1) è (3/2)f e così via. Adesso, anche senza conoscere i numeri, possiamo verificare se è in qualche modo possibile che elevando 3/2 a una potenza intera n > 1, sia possible ottenere una potenza del tipo 2k con k > 1, ovvero:

Successione delle quinte

Con una semplice manipolazione, otteniamo:

Sviluppo della successione delle quinte

E’ chiaro, senza la necessità di profonde conoscenze matematiche che il primo membro è sempre dispari, così come il secondo membro è sempre pari, indipendentemente da n e k. Di conseguenza, nonostante la notazione posizionale ci permetta di arrivare alla nota di partenza 4 ottave più alta, ciò è matematicamente impossibile con l’intervallo di quinta! Nel caso specifico, se f = 100 Hz, dovremmo arrivare a 1600 Hz, ma 7 intervalli di quinta, ci portano a (3/2)7 × 100 ≈ 1708.6 Hz, che è una frequenza ben più alta di quella attesa!

Inoltre, se consideriamo rapporti tra numeri interi, le frazioni finali avranno numeratore e denominatore primi tra loro. Questo significa semplicemente che se la frazione è a/b, a e b non condividono fattori (e.g., 3 e 2 sono primi tra loro, mentre la frazione 2/4 non lo è e può essere ridotta a 1/2 che rispetta tale condizione). Di conseguenza, la divisione a/b è sempre un numero decimale.

E’ molto semplice dimostrare che qualsiasi rapporto tra interi, elevato a potenza n > 1, non potrà mai essere uguale ad alcuna potenza di 2! Ciò significa che, usando gli intervalli pitagorici, non sarà mai possibile raggiungere alcuna ottava, a meno di non fare proprio un salto d’ottava. In forma diversa, ma sempre basata sullo stesso principio, anche la scala naturale di Zarlino presenta il medesimo problema, la cui soluzione risiede negli odiatissimi numeri irrazionali che Pitagora cercò in tutti i modi di evitare.

Accordare e temperare con gli intervalli pitagorici

Dovrebbe ormai essere chiaro che il sistema pitagorico non permette di effettuare un’accurata accordatura di uno strumento. Supponiamo infatti che un mastro costruttore lavori all’organo di una chiesa. Al momento di regolare la lunghezza delle canne, partirà da un riferimento fisso probabilmente condiviso con i membri della sua corporazione e tramandato da maestro ad allievo e si sposterà in avanti, per esempio, per quinte. Ovvero, se il riferimento è Do(1) ed è lungo 1 metro, creerà una canna per il Sol(1) della lunghezza di 2/3 = 0.66667 metri e così via.

Il guaio, come avrete già capito, è che ogni passo si porta dietro una frazione d’errore che lo porterà, ad esempio, a un Do(5) completamente stonato. Conoscendo questo problema, i liutai procedevano a quello che in gergo viene definito “temperamento”, ovvero aggiustavano ogni nota in modo da minimizzare l’errore. Non c’è bisogno di dirlo, perchè è chiaro che tale processo era altamente empirico e legato all’orecchio del singolo liutaio. Quindi poteva tranquillamente accadere che una composizione suonasse bene su un organo, ma presentasse evidenti stonature su un altro.

Dulcis in fundo: il temperamento equabile

La soluzione più elegante a questo problema arrivò insieme all’accettazione dei numeri irrazionali come rapporti intervallari. Evitando inutili preamboli, la proposta del temperamento equabile era tanto semplice quanto geniale: suddividere l’ottava in un numero uguale di intervalli e, visto che ormai il sistema tonale era pienamente in uso e si sapeva bene che esistevano 5 note alterate in ogni ottava, la decisione fu semplice, 12 semitoni uguali per ottava.

L’ottava corrisponde al doppio della frequenza della fondamentale, per cui, tenendo presente che i rapporti tra intervalli si sovrappongo moltiplicandoli, l’ampiezza del rapporto di semitono s doveva essera tale da verificare la condizione:

Metodo per definire l'ampiezza intervallare costante nel temperamento equabile

Ovvero, il rapporto di semitono doveva avere un’ampiezza costante e pari a:

Ampiezza del rapporto di semitono nel temperamento equabile

Se vi ricordate, il rapporto di semitono pitagorico aveva un’ampiezza pari a 1.0535, quindi la differenza è relativamente bassa. Tuttavia, le radici n-esime di 2 sono numeri irrazionali (i.e., con infinite cifre decimali) e ciò comporta una variazione di tutti i rapporti intervallari. Prima di fare qualche semplice esperimento, è importante dire che adesso, il tono t corrisponde effettivamente a due semitoni, ovvero:

Ampiezza del rapporto di tono nel temperamento equabile

Adesso, possiamo quindi dire che la quinta giusta ha un’ampiezza di 7 semitoni, ovvero circa 1.49831, che è chiaramente molto vicino al rapporto pitagorico di 3/2. Analogamente, la terza maggiore è pari a 4 semitoni, quindi circa 1.25992 contro il rapporto pitagorico di 5/4, etc. Come si può constatare, il temperamento equabile non introduce grosse variazioni e, pur essendo impossible da implementare senza approssimazioni (i.e., i numeri irrazioni devono necessariamente essere troncati), esso offre il vantaggio di un metodo che può essere accettato convenzionalmente e portare a intonazioni costanti da strumento a strumento.

Inoltre, come dovrebbe essere ormai ovvio, è sempre possible ottenere l’ottava per sovrapposizione di intervalli. Infatti, se abbiamo n > 12 semitoni (per n < 12 siamo all’interno della prima ottava) e k > 1 ottave, l’equazione:

Equazione per la "ricostruzione" di un'ottava attraverso la sovrapposizione di semitoni nel temperamento equabile

Può essere facilmente soddisfatta. Ad esempio, considerando l’esperimento fatto in precedenza con le quinte, partendo dal Do(1) arrivavamo al Do(5), ovvero k = 4 e 24 = 16, pertanto è sufficiente prendere un totale di n = 48 semitoni che, considerando il semitono di partenza, diventano 49 / 7 = 7 quinte giuste. Se non dovesse essere chiaro il motivo dell’aggiunta di un semitono, è sufficiente ricordare che un semitono separa due note, per cui, se iniziamo a contare da Do(1), il dodicesimo semitono è tra l’ultima nota Si(1) e la prima della nuova ottava Do(2).

Andamento delle frequenze e della lunghezza delle corde nel temperamento equabile

Nel seguente diagramma, ho rappresentato l’andamento delle frequenze di 3 ottave a partire dal Do centrale del pianoforte a 261.6 Hz e il corrispondente andamento della lunghezza delle corde scegliendo in modo arbitrario la tensione e l’elasticità (che, essendo fattori costanti, non hanno importanza ai fini della struttura della curva):

Conclusioni

Spero che questo articolo possa aiutare i neofiti musicisti a comprendere i rudimenti del sistema musicale per poter avere ben chiaro quale tipo di sviluppo è stato condotto durante i secoli. Ovviamente, la mia è una trattazione semplificata in cui ho omesso molte dimostrazioni matematiche e alcuni dettagli che dovrebbero essere dati per scontati. Mi dispiace se ciò ha causato qualche confusione e vi invito a contattarmi tramite l’apposito modulo per domande, chiarimenti, correzione di errori, etc. Continuerò questa attività trattando altri aspetti sia di teoria musicale (come questo) che di tipo più pratico, in particolar modo legati allo strumento che amo maggiormente: la chitarra classica!

Per approfondimenti sul sistema pitagorico e su altri aspetti matematici della musica

Sale
La musica dai numeri. Musica e matematica da Pitagora a Schoenberg
  • Quello tra musica e matematica è da sempre un dialogo fitto e profondo
  • Secondo molti studiosi le composizioni di Bach sono governate da una logica matematica, e Stravinskij ha ravvisato un'affascinante prossimità tra le due discipline
  • Stockhausen è andato oltre, scrivendo musica esplicitamente basata su principi matematici
  • Ma non è tutto, sostiene Eli Maor, perché tra note e numeri le influenze sono reciproche e il loro rapporto, per questo, ancora più stimolante
  • Pitagora e il legame tra musica e geometria, la curiosa simultaneità tra la teoria della relatività di Einstein e la musica dodecafonica di Schoenberg, la tanto dibattuta teoria delle stringhe, che si mettono a vibrare come le corde di un violino; sono tutti tasselli di uno straordinario racconto che vede protagonisti compositori, scienziati, inventori e semplici stravaganti


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